Salvo alcune notevoli eccezioni, come la rete autostradale e telefonica, si scelse la seconda

Dopo aver sprecato la grande occasione dell’ingresso nell’euro vent’anni fa, la nuova Europa offre una nuova chance per riformare e far ripartire il sistema-Paese, ma l’assalto alla diligenza è in agguato

“Assalto alla diligenza” è un’espressione in uso nella politica italiana fin dai tempi di Giolitti, ma diventata ricorrente nei titoli di giornale dagli anni 70 del secolo scorso, quando cominciò a radicarsi l’idea che le grandi risorse generate da vent’anni di boom economico potessero venir utilizzate per una grande distribuzione del reddito, anche per contrastare la crisi indotta dal mix di inflazione e recessione che aveva investito le principali economie occidentali. Sono gli anni in cui si ‘semina’ la pianta maligna del debito, che sarebbe cresciuta a dismisura nei decenni successivi. Un esempio per tutti le pensioni ‘baby’, introdotte dal governo di centro sinistra di Mariano Rumor nel 1973, una bomba a orologeria che avrebbe devastato le finanze pubbliche per essere disinnescata da Giuliano Amato solo vent’anni dopo con l’Italia travolta dalla crisi del debito e della lira. La ricchezza prodotta dal miracolo economico del dopoguerra si poteva usare in due modi: investirla nel futuro, per modernizzare le infrastrutture di base, da quelle fisiche a quelle meno materiali, come educazione, sanità, macchina amministrativa, giustizia e anche politica, oppure distribuirla a pioggia in cambio di consenso elettorale. Salvo alcune notevoli eccezioni, come la rete autostradale e telefonica, si scelse la seconda. Un altro esempio per tutti il ‘punto unico’ di scala mobile, inventato nel 1975 e poi cancellato dal famoso accordo di San Valentino una decina d’anni dopo, che invece di proteggere il potere d’acquisto dei salari faceva galoppare l’inflazione, con l’effetto opposto.

 

GLI ANNI DELLA DEVASTAZIONE

Lo schema si ripete con varianti fino a oggi. La devastazione seminata dall’assalto alla diligenza negli anni 70 diventa visibile nel decennio successivo, quando il debito pubblico passa dal 60% al 120% del PIL. Poi arriva il rinsavimento tardivo forzato dal tracollo della lira e dalla crisi delle finanze pubbliche del 1991-92, che costringe la politica a mettere mano a una serie di riforme ‘vere’, prima tra tutte quella delle pensioni del governo di Lamberto Dini nel 1995, che piegano la crescita del debito e consentono all’Italia di entrare nella neonata moneta unica europea. Il beneficio è immenso, il costo del debito italiano, vale a dire l’interesse che lo Stato paga a chi gli presta i soldi, crolla in tre anni da oltre il 14% al 4%. La fiducia in una nuova era contagia la Borsa di Milano, che tra il 1996 e il 2000 mette a segno un rally spettacolare, mentre il rapporto tra debito e PIL si stabilizza e si avvicina a 1-a-1. Poi si torna all’antico, sono gli anni delle manovre fatte con i condoni fiscali e i finanziamenti a pioggia, mentre le riforme sempre più necessarie, dal mercato del lavoro, alla giustizia, alla pubblica amministrazione centrale e periferica, fino alle infrastrutture, restano sogni nel cassetto.

 

 

Fonte:www.investing.com