A differenza degli anni 70, l’aumento dei prezzi potrebbe questa volta aiutare e non ostacolare il riposizionamento post covid dell’economia. E intanto la corsa delle commodity mostra segni di stanchezza

 

 

L’inflazione è la bestia nera degli investitori obbligazionari, perché svaluta nel tempo l’asset rappresentato dal debito, con una perdita che non viene compensata dalle cedole, a meno che non si tratti di bond indicizzati. Per cui il mercato comincia a chiedere agli emittenti un premio superiore in termini di rendimento. Nonostante gli allarmi che ci stanno bombardando di questi tempi, con titoli che fanno diventare uno “strappo” l’inflazione americana uscita a settembre lo 0,1 sopra le attese ma con il tasso core sotto, il clima sul mercato non sembra riflettere apprensioni. Il rendimento del Treasury resta in area 1,5% ben sotto i massimi dell’anno. E intanto gli investitori istituzionali globali si mettono in fila per comprare il green bond della UE, che a 15 anni rende lo 0,45% con una richiesta di 135 miliardi a fronte di 12 miliardi offerti.

I COMPRATORI DI ULTIMA ISTANZA

È vero che c’è la rete dei compratori di ultima istanza, vale a dire Fed e Bce. Ma la prima si prepara a ridurre gli acquisti per chiudere il rubinetto nel 2022 mentre la seconda si avvicina alla conclusione del PEPP, anche se resta il quantitative easing. Inoltre, gli spread sulla parte più rischiosa della curva dei tassi, vale a dire high yield, restano molto compressi. È vero che anche qui le due banche centrali comprano, soprattutto usando gli Etf, ma senza esagerare, nell’ordine della centinaia di milioni e non di miliardi.

 

 

Fonte:www.financialounge.com